Musica automatica: due modi (+1) di intendere i robot

Il robot umanoide Atlas, concepito senza mani – Fonte: Boston Dynamics

L’automatizzazione nel campo musicale è ormai un concetto assorbito da parecchio tempo. Drum machine, sequencer, loop-station… sono tutti strumenti che aiutano e non sostituiscono la fantasia del musicista. Ma se si provasse a fare musica con dei veri robot?

Girovagando su YouTube mi sono imbattuto in un paio di esempi che mi hanno fatto riflette su come noi concepiamo le caratteristiche e l’utilizzo dei robot.

Una rock ‘n’ robot band

Il primo è di Nigel Stanford, musicista neozelandese con la passione per la scienza. In collaborazione con Kuka, ditta produttrice di robot industriali, Stanford ha prodotto questo scenografico videoclip anche con lo scopo di dimostrare quanto possano essere precisi gli arti robotici. E a giudicare dal video, sono molto precisi.

Ovviamente l’esecuzione musicale è frutto della programmazione di ogni singolo movimento, non è gestito da una IA che interpreta lo spartito. L’aspetto che però mi incuriosisce è la scelta di Stanford di far utilizzare agli arti robot gli strumenti musicali come li suonerebbe un essere umano. La pinza usa le bacchette per la batteria, il plettro per la chitarra e così via.

Questo è il primo modo di intendere i robot che ci viene naturale pensare: simulare le capacità e le movenze umane. L’idea di un automa con fattezze umane è presente da tempo nella storia. Mi vengono in mente l’automa cavaliere progettato da Leonardo da Vinci nel 1945 e il Turco giocatore di scacchi del 1769 (ma quest’ultimo era un imbroglio).

Lo stesso termine robot ha origine da un opera teatrale ceca del 1920. Lo scrittore Karel Čapek ipotizzò una società basata sullo sfruttamento di automi dalle fattezze umani che chiamò appunto roboti (dal ceco robota, “lavoro duro, lavoro forzato”).

La marcia dei robot

Nel secondo video possiamo vedere una concezione del robot diametralmente opposta. Il compositore fiorentino Leonardo Barbadoro ha ideato un’orchestra di 50 robot. Ma questa volta non sono i robot a suonare gli strumenti, bensì sono gli strumenti stessi a diventare dei robot.

Controllati via MIDI dal computer del compositore/performer, ogni strumento è meccanizzato e sfruttato oltre le capacità umane. Come ben dice Barbadoro in questa intervista :

Il pianoforte ha 88 tasti e l’essere umano ha dieci dita. Di solito sei obbligato a comporre in base ai passaggi che l’essere umano può fare, con i robot puoi sorpassare questi limiti.

Ecco, è proprio questa la grande differenza tra la prima visione del robot nel video Stanford e questa seconda di Barbadoro: andare oltre le capacità umane non solo fisiche, ma anche concettuali.

Un discorso più ampio

Quando si parla di robot (ho accennato questo concetto anche nel precedente articolo), la stampa e il cinema ci hanno abituati negli ultimi anni a forme e funzionalità simili a quelle umane, a favore di una più semplice interazione comunicativa o integrazione nei processi lavorativi. Perfino il servizio di prenotazione automatica Duplex (che Google sta implementando nel suo assistente virtuale) punta a simulare in tutto e per tutto una conversazione umana quando probabilmente potrebbe essere inutile e fastidioso. Ne parlo in questo altro articolo.

Come pensate che debbano essere concepiti e usati i robot e le intelligenze artificiali?

Vi lascio un ultimo video, il +1 del titolo, in cui abbiamo un robot musicale totalmente analogico, programmabile, azionato a manovella e biglie… in legno. Dei tre video, questo è il brano che mi piace di più!

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